La calchera

LA CALCE

Fino alla metà del secolo scorso la calce è stata utilizzata nelle vallate alpine per vari impieghi. Tra questi il più comune è sicuramente l’impasto  della calce con ghiaietto arido al fine di ottenere una malta utile per l’edilizia. Veniva poi usata per imbiancare le pareti interne ed esterne delle abitazioni e   durante le epidemie anche per disinfettare i locali.

La calce non esiste tal quale in natura ma è possibile ricavarla con la cottura di materiali calcarei dei quali sono ricche le Prealpi Orobiche.   In passato, nelle nostre valli, vennero costruite numerose “calchere”, cioè i forni per cuocere la pietra calcarea ed ottenere la calce. Ancora oggi se ne possono incontrare nei nostri boschi anche se, purtroppo, abbandonate, sopraffatte dalla natura ed in buona parte ricoperte dalla vegetazione.

LA CALCHERA

Già i romani, dai primi secoli a.C. avevano imparato e perfezionato la produzione e l’uso della calce. Nel corso di 2 millenni questa attività è stata oggetto di poche modifiche. Per ottimizzare il processo di cottura e per concentrare e non disperdere il calore prodotto dalla combustione del carbone di legna, si giunse alla costruzione delle calchere.

La costruzione delle calchere è il risultato di un lungo processo di ottimizzazione nella produzione della calce; la loro funzione è quella di ottimizzare il ciclo di cottura, minimizzando la dispersione del calore prodotto mediante la combustione della legna e soprattutto del carbone di legna.

La loro ubicazione era condizionata da alcuni criteri generali che miravano alla vicinanza di luoghi:

· con disponibilità di pietre calcaree;

· con disponibilità di combustibile; spesso non lontano dalle calchere veniva allestito il “Poiat” dove si produceva carbone con legna in rami, proveniente dai boschi circostanti; nulla risultava sprecato; la legna più fine, non idonea a tale scopo, ordinata in fascine, risultava utile per avviare la combustione del carbone nella  calchera;

· dove la calce prodotta venisse successivamente utilizzata per i diversi scopi prima indicati  (paesi, nuclei abitati, cascine, stalle, alpeggi e manufatti vari).

Insomma un tipico esempio di economia, come oggi si usa dire, a Km 0.

 

ALLESTIMENTO DELLA CALCHERA

La calchera era caratterizzata da una struttura a botte   a pianta in genere circolare, con     diametro e altezza di circa 3 – 4 m; le sue pareti, in pietra del posto, erano addossate ad un pendio, con l’obiettivo di minimizzare le dispersioni di calore. L’interno del forno di cottura era composto           da 2 spazi sovrapposti; quello inferiore fungeva da camera di combustione mentre lo spazio superiore conteneva le pietre da portare a cottura;      quelle più grosse venivano poste in basso, dove la temperatura era più elevata , per poi ridursi di volume man mano che si saliva fino alla sommità. Questa veniva chiusa con uno strato di malta che conteneva un foro per lo sfiato dei fumi e per regolare  nel contempo l’intensità della combustione. Prima di introdurre il materiale da cuocere veniva allestita sopra il combustibile una specie di volta con pietre calcaree, accostate l’una all’altra, che fungevano da sostegno per il materiale caricato. Nella camera di combustione sottostante vi era un’apertura in basso che serviva per introdurre il combustibile, legna in fascine e carbone di legna e per togliere man mano la cenere. L’operazione di cottura durava 5-7 giorni e coinvolgeva un gruppo di 4-5 persone che continuamente, giorno e notte, dovevano alimentare il fuoco e controllare che tutto procedesse per il verso giusto. La cottura costituiva una operazione estremamente delicata e complessa, il cui buon esito non era per nulla scontato; fondamentale era la perizia degli operatori; vi sono testimonianze che attestano l’usanza di benedire la fornace prima di accendere il fuoco e di procedere con la cottura.